VITERBO - La lettera sull'emergenza coronavirus scritta da un nostro lettore, Carlo Marino, viterbese d'origine trasferito al Nord ormai da anni per motivi professionali. Insegnante, laureato in informazione scientifica sul farmaco, ha raccontato come vede la situazione sul virus e l'atteggiamento giusto da seguire.
"Il demone dei nostri giorni è e sarà il virus SARS-Cov-2, non soltanto per i numeri che gli vogliono accreditare.
E’ un qualcosa che in qualche modo confonderà i lettori che vedono nel virus l’apoteosi dell’isolamento sociale, della distruzione dei legami interpersonali e delle sane abitudini della società moderna.
Qualcuno lo ha definito persino una specie di vendicatore venuto sulla terra per riportare moralità e ordine. Che si era esagerato nello sfruttare il pianeta terra modificandone gli equilibri e le stagioni.
Ma le voci di fine Medioevo che annunciavano la fine del mondo si erano servite di queste argomentazioni per riportare le genti alla dominazione della chiesa, sfruttando la poca conoscenza delle cose che aveva la popolazione in quei secoli oscuri.
Il Covid-19 è una minaccia nuova, nata in un momento in cui di rischi di estinzione per l’umanità ce ne erano fin troppi. L’Armageddon è un conflitto atomico mondiale, sono i poli che si sciolgono con gli oceani che ci sommergono. Il coronavirus è una malattia da cui tanta gente, per fortuna, riesce a guarire.
Ma non fermiamoci a questo superficiale identikit.
Se non fosse che una “banale influenza”, come a detta di alcuni è stata definita questa nuova patologia, non avremmo di che preoccuparci, ci saremmo beatamente messi a letto in attesa di ritornare al lavoro come prima.
Invece i numeri dei contagi e ahimè, quelli dei decessi, continuano a salire, ora dopo ora, giorno dopo giorno e sembra che non si arrestino mai.
Ogni mezzo di informazione, social, persona che in questo momento si trova sul pianeta terra sembra non faccia altro che parlare di questo argomento. I più arditi sono arrivati al punto di spegnere il televisore per cercare di pensare anche ad altro. Una banale influenza non basta a giustificare questo delirio psicologico collettivo
Il fatto è che il Coronavirus è un virus nuovo, e la novità, l’incognita in quanto tale è ricca di lati oscuri. Nessuno realmente sa quello che potrà accadere, si parla di modelli di sviluppo, di picchi che si realizzeranno il tal giorno oppure alla tale ora, ma in realtà nessuno sa veramente quello che potrà accadere.
E’ su questa infinita incertezza che le economie mondiali, una dopo l’altra, stanno crollando come castelli di sabbia, trascinandosi dietro interi paesi. Nessuno sa realmente cosa succederà dopo, se le nazioni potranno rialzarsi, se le istituzioni come le conoscevamo potranno essere più le stesse, se i confini nazionali saranno o meno restaurati. Se le persone torneranno a lavorare, se il tessuto sociale potrà risorgere a nuovi splendori. Miliardi di euro, di dollari, di criptovalute bruciati in pochi giorni, chi ci assicura che tutto questo non avrà conseguenze irrimediabili per la nostra società, per il modo di vivere così come lo conoscevamo.
Per capire il nuovo coronavirus (ci ho messo parecchio tempo anch’io) bisogna fare come per la missione cinese Chang'e 4 che il 3 gennaio 2019, che con un lander, è stata la prima a toccare il suolo sulla faccia nascosta della luna.
Visto da davanti, è una minaccia in grado di mietere vittime fra le persone anziane, quelle più fragili e già malate. Ma è anche il virus capace di “mutare tre volte in Lombardia ed uccidere tre volte di più rispetto al Veneto” come spiegava Michela Nicolussi Moro sul Corriere del Veneto lo scorso 17 marzo.
Chi ci assicura che le mutazioni non lo facciano impazzire al punto da renderlo ancora più letale?
L’imprevedibilità è solo un’ipotesi. Ma c’è da fidarsi? Intanto solo un pazzo in questo momento se ne andrebbe i giro per le vie dei vari paesini o delle città lombarde senza una mascherina sul volto.
Cosa possiamo fare per difenderci a questo punto dalla nuova minaccia pandemica, rischiamo di fare confusione, ed è un errore che non dobbiamo assolutamente commettere.
Dobbiamo considerare quattro cose.
La prima è che il virus non si diffonde per via aerea come il morbillo, ma si diffonde attraverso aerosol (droplet), i patogeni in questo caso vengono trasmessi da goccioline (di diametro superiore a 5 um) che possono essere generati con lo starnuto, la tosse, la conversazione o alcune manovre.
La seconda è che la distanza sociale di un metro è importantissima, ma ancora più importante sarebbe riuscire a limitare la diffusione delle goccioline con una semplice mascherina, ma il problema è che non se ne trovano e che andrebbero sostituite spesso.
La terza cosa è che un imprenditore padovano, Franco Franceschi, ha riconvertito la sua azienda e si è messo a produrre mascherine al ritmo di un milione di pezzi al giorno.
E infine dobbiamo augurarci che gli imprenditori che possono farlo, seguano l’esempio del coraggioso veneto e mettano a disposizione della collettività una quantità di dispositivi di protezione adeguata a fronteggiare l’emergenza.
Forse noi non siamo imprenditori e non abbiamo le strumentazioni per fare questa produzione, ma Stato e aziende in grado di farlo potrebbero intervenire quanto prima. Se fossero poi rese obbligatorie per uscire, in pochi giorni l’epidemia si potrebbe arrestare".
Carlo Marino