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QdA riporta la prosa all'Unione, in un teatro lontanissimo dalla dignità necessaria

I saluti finali della compagnia, dietro il palco senza quinte

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VITERBO – Torna la prosa al Teatro Unione, e ci sono tutti i presupposti della festa. Il Teatro, chiuso da anni, è stato inaugurato dal presidente Zingaretti a giugno, anche se era agibile solo la platea ma sicuro perché era presto. E' stato inaugurato di nuovo a luglio dall'onorevole Fioroni con tanto di banda della Marina e pure i palchetti erano pieni pieni di gente, adesso si che il teatro è completo. In quell'occasione è stato magistralmente descritto dal sindaco Michelini, che a memoria ha raccontato la storiellina di un teatro che risale al 1855 e veniva ridato alla città. Evviva!

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E mica tanto. Già dalla doppia inaugurazione, voluta ad uso e consumo della politica, avevamo notato le poltrone, rosse e di bassa qualità, inadatte, il sipario stonato, che ricordiamo color blu notte con frangette funebri color oro in fondo, l'arlecchino rosso incollato là come se spuntasse dal nulla, lo stemma in plexiglass e una serie di dettagli che avevano di fatto ucciso la magia di un luogo che era magico solo in quanto esisteva e per come era stato fatto.

Poi il sopralluogo di Antoniozzi, baritono e regista lirico, aveva evidenziato le ferite inferte: quelle al muro dipinto, quelle al palco che mancava totalmente di struttura posteriore, e tante altre, ferite che erano giunte come un grido disperato nel consiglio comunale aperto, con gli interventi di Antoniozzi, appunto, Manganiello e Cervo. Ma non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.

E non solo sordi, pure ciechi: chiunque ieri sera sia entrato a godersi lo spettacolo di Quartiere dell'arte non poteva che guardarsi intorno con aria stupefatta. Palchetti inagibili (perché per il concerto della Marina erano aperti? Con quali rischi?), palco ancora sfondato fino al muro posteriore, con finestrelle che filtrano romanticamente l'ultima luce di un giorno di settembre (per il concerto della marina sono stati spesi migliaia di euro utili a creare una quinta adatta), sipario aperto perché è meglio evitare una macchia scura, decisamente poco gradita da gran parte delle compagnie teatrali.

Un cantiere aperto che mette tristezza. Con Zingaretti era installata la famosa pedana che estende il palco, un escamotage tecnico che potrebbe essere utile, andando a coprire la buca destinata all'orchestra. La pedana esiste ma è in magazzino, per chi volesse utilizzarla è necessaria l'installazione a proprie spese, dettaglio che la rende di fatto inutilizzabile, con le economie attuali del settore culturale. La logica, forse, vorrebbe il contrario, essendo la buca utilizzabile in caso di messa in scena di un'opera lirica completa, ed essendo lontanissima al momento questa ipotesi, non sarebbe meglio che rimanga montata? Tenerla installata per tutti, permettendo l'uso della parte esterna con sipario chiuso, evitando la vista del vuoto cosmico posteriore, e andare a toglierla alla bisogna? Dettaglio che coprirebbe, tra l'altro, una parte esteticamente discutibile, e vi garantiamo che basta guardare la “buca” per capire.

Domande, o consigli, che giriamo, come sempre all'amministrazione, archiviandola tra le infinite risposte da ricevere, aggiungendo le parole pronunciate dal palco da Gianmaria Cervo, direttore artistico Quartieri dell'Arte: “Ci faceva piacere restituire la prosa al Teatro Unione, volevo mettermi anche in giacca per l'occasione. Poi sono entrato e mi sono vestito così, da cantiere. Mi viene voglia di darvi al benvenuto alla stagione del teatro romano di Ferento, così all'aperto, con le finestre alle nostre spalle! Faccio i complimenti e ringrazio la compagnia Punta Corsara per lo sforzo fatto oggi per mettere in scena lo spettacolo. Questo teatro ha subito tanti graffi ma andiamo avanti, spero che la politica sia in grado di ricominciare a rapportarsi con il settore e trovare la via giusta”. Parole risuonate in un palco enorme, dall'aspetto decadente, impreziosite dall'intervento di Aldo Pennello, prologo poetico allo spettacolo.

Cervo e Pennello, per riempire un palco

 

E veniamo alla serata, che merita a prescindere, con plauso alla compagnia Punta corsara, capace di riorganizzare mentalmente lo spettacolo, adattandolo alla struttura.
“Io, mia moglie e il miracolo” è un viaggio nella società moderna, nelle famiglie di oggi, esteticamente perfette nonostante tutto, dove la negazione del brutto fa parte della routine, mentre il “pazzariello” di turno è il più razionale e normale della storia. Miracoli gettati al vento, riabilitazione dell'ultimo, prepotenza e innocenza: in poco più di un'ora ci si immerge in un mondo surreale, sottolineato da risate di gusto, pur amare. Complimenti alla compagnia napoletana in grado di far ridere davanti all'assurdo, esattamente come accadeva col principe De Curtis. Chapeu.

Due dei protagonisti

 

Fantastici gli attori, capaci di catalizzare l'attenzione del pubblico con la loro mimica e le espressioni facciali, parte fondamentale di uno spettacolo che fa viaggiare l'immaginazione molto oltre il palco.
Per fortuna l'arte e la bravura spesso supera il paradosso e per fortuna l'acustica, pietra preziosa incastonata nel Teatro Unione, è rimasta intatta e brilla ancora.

Un momento dello spettacolo

 

Si potrebbe parlare dell'annunciata stagione 2017/18 polemicamente concessa all'Atcl, almeno a parole, ma ce lo risparmiamo per il futuro, che siano scappati a gambe levate?

Un ultimo sguardo all'esterno, con la facciata ovviamente restaurata: dal 7 settembre sono transennati un paio di metri di muro per caduta calcinacci dal sottotetto. Una prima avvisaglia di una decadenza avvenuta prima ancora di partire. La buona notizia è per la politica: nella prossima campagna elettorale tutti i candidati potranno promettere di risistemare a dovere il Teatro Unione. Evviva!

Teresa Pierini